Torino, accade 74 anni fa: dai successi alla tragedia
10 min read“Le facce antiche, con le rughe, di quando ancora si poteva leggere nel volto il carattere e forse il destino. Ragazzi adulti con i capelli ordinati nel segno di quel tempo ed il piglio fiero di chi sa di essere il più forte”. Sono queste le parole che scelse Aldo Serena per descrivere quel Torino, quella squadra inarrestabile che ha scritto pagine indimenticabili di storia. Parliamo di una formazione che, esprimendo un calcio incredibilmente spettacolare ed emozionante, si rese protagonista di svariate annate ricche di successi, prestazioni di grande livello e molto altro.
Purtroppo, però, il 4 maggio 1949 accadde un fatto disastroso, che segnò il mondo intero e che non permetterà più a quel Grande Torino di scendere in campo.
Grande Torino
Siamo nella stagione 1927-28, quando il Torino vince il primo scudetto della sua storia, anche se l’anno prima, sul campo, il Toro aveva già vinto un campionato. Titolo revocato e, successivamente, non assegnato, per via di una presunta corruzione di Luigi Allemandi, terzino della Juventus, in occasione del derby del 5 giugno 1927. Derby che fu vinto dai Granata 2-1 con gol di Balacics. I Torinesi si erano aggiudicati il titolo poi disconosciuto il 10 luglio 1927, con un 5-0 ai danni del Bologna secondo in classifica. La stagione successiva, la compagine piemontese non si riconferma sui livelli della passata annata e lo scudetto viene vinto dal Bologna, al termine di uno spareggio deciso da un gol di Muzioli ad otto minuti dalla fine. Quello del 1928-29 fu l’ultimo campionato a due gironi. Il primo campionato a girone unico fu vinto dall’Ambrosiana Inter e il Toro si piazzò 4°. Nel frattempo iniziarono a svilupparsi i settori giovanili e, nel 1932, il Torino creò, in onore del grande Adolfo Baloncieri, che lasciava il calcio, una sezione giovanile a lui dedicata: i “Balon boys”, affidata a Carlo Rocco. Da questo grande serbatoio emersero in quegli anni campioni del calibro di Raf Vallone, Federico Allasio, Giacinto Ellena, Cesare Gallea.
Adolfo Baloncieri (Foto: sito ufficiale del Torino)
All’inizio degli anni ’30 il Toro, dopo l’abbandono del conte Cinzano, conobbe la successione di diversi presidenti: Ferrari, Vastapane, Gervasio, Mossetto, Silvestri, Cuniberti. Fu un periodo di instabilità e anche i giocatori in campo ne risentirono. Infatti il Torino arrivò 7° nel campionato 1930-31, 8° nel 1931-32, nuovamente 7° nel 1932-33, 12° nel 1933-34, e 14°, a un passo dalla retrocessione, nell’annata 1934-35. Nella stagione successiva a quel brutto 14° posto del 1935, iniziò un periodo di rinascita per il Torino, che rimase in lotta per lo scudetto fino a metà del girone di ritorno, ma fu il Bologna ad aggiudicarsi il titolo. Comunque, i Granata vinsero la Coppa Italia (manifestazione che esordì in quella stagione, dopo un’edizione sperimentale nel 1922) travolgendo 2-0 la Reggiana, 8-2 il Catania, 4-2 il Livorno, 2-0 la Fiorentina e spazzando l’Alessandria in finale con il netto risultato di 5-1. Nella stagione 1936-37, il Toro si piazzó 3° in classifica, ma soprattutto tornó a vincere entrambi i derby con la Juve: 1-0 all’andata e 2-1 al ritorno. Nel 1937-38 i Granata arrivano noni in campionato e in Coppa Italia si arresero solo in finale. L’annata 1938-39 fu piuttosto positiva: secondo gradino del podio in classifica, nuovamente dietro a un Bologna formidabile. Importante aggiungere che di quella squadra facevano parte il portiere Olivieri, un campione del mondo nel 1938, e il centravanti Gaddoni, arrivato dal Piacenza. Intanto i Balon Boys continuavano a costituire il futuro della squadra e fu proprio dal vivaio che vennero fuori ben tre campioni: Federico Allasio, Cesare Gallea e Giacinto Ellena. Tutti e tre giocavano in mediana e passarono alla storia come “La mediana delle sei elle”. Gallea ed Ellena giocarono anche con Grezar, Loik e Mazzola, l’embrione di quello che sarebbe diventato il “Grande Torino”. In particolare, il già citato Giacinto Ellena fu prima giocatore, poi allenatore, preparatore, osservatore e grande tifoso del Toro, continuando a dedicarsi alla società anche dopp gli ottanta anni di età.
Nel 1940 Ferruccio Novo subentrò alla guida della società all’ingegnere Cuniberti e ciò stabilì una svolta per la società: sotto l’amministrazione di Novo, prese ufficialmente vita il “Grande Torino” passato alla storia.
Grazie a questa storica figura arrivarono a Torino una serie di campioni che costituirono l’ossatura della squadra per gli anni successivi: furono acquistati infatti, tra gli altri, il difensore Piacentini, il centravanti Franco Ossola, ingaggiato per la cifra notevole per l’epoca di 55.000 lire, Bodoira, Borel, Guglielmo Gabetto, Menti e Ferraris.
Ferruccio Novo (Foto: sito ufficiale del Torino)
La prima stagione sotto la guida di Novo fu di assestamento e la squadra si piazzò al settimo posto; già nella stagione 1941/42 però i Granata dell’allenatore Austriaco Andrea Kutik riuscirono a piazzarsi al secondo posto, 3 punti dietro la Roma.
Novo però non era soddisfatto: dopo un’enorme campagna acquisti, che portò a Torino anche il campione italiano Mazzola, e l’arrivo in panchina di Janni al posto di Kutik, la formazione piemontese riuscì a vincere lo scudetto dopo un emozionante testa a testa con il Livorno. Questo fu il primo scudetto dopo 15 anni, il primo di 5 consecutivi. Nella stagione 1942/43 i Granata trionfarono anche in Coppa Italia, stabilendo un incredibile record: 5 vittorie su 5 partite contro Anconetana, Atalanta, Milan, Roma e Venezia. 20 reti fatte e 0 subite.
Le guerra però interruppe il campionato: nel 1944 esso venne diviso in 2 gironi, Nord e Sud, poichè i bombardamenti rendevano difficili gli spostamenti. In questi anni, il Torino cambiò nome in Torino-Fiat e potè contare su un attacco davvero stellare: Mazzola-Piola-Gabetto. Nonostante ciò però, lo scudetto di guerra fu vinto dal 42° Reggimento dei Vigili del Fuoco di La Spezia, in finale contro il Torino stesso, battuto 2-1.
Valentino Mazzola (Foto: sito ufficiale del Torino)
Nella stagione 1945/46 il campionato cercò di tornare alla normalità. In seguito ad una prima fase territoriale ampiamente vinta, i Granata batterono i rivali della Juventus alla penultima giornata e vinsero il loro terzo scudetto nella storia grazie ai nove gol rifilati al Livorno all’ultima partita; nella stagione successiva il Toro arrivò a toccare le 14 vittorie consecutive, vincendo agilmente un ulteriore scudetto, anche grazie ai 104 gol segnati in stagione.
La stagione 1947/48 fu un’autentica consacrazione per i Granata: essa si concluse con la vittoria dello scudetto e la classifica marcatori alla fine recitava Boniperti 27 reti, Mazzola 25 e Gabetto 23, per far capire la portata dell’attacco torinese quell’anno. Ecco anche un’altra serie di dati e record stabiliti dalla squadra quella stagione: massimo punteggio in classifica, 65 punti in 40 gare, massimo vantaggio sulle seconde classificate, 16 lunghezze di distacco da Milan, Juve e Triestina; vittoria in casa più netta, 10-0 all’Alessandria, 29 vittorie complessive su 40 partite giocate, maggior sequenza di gare utili, 21 partite senza mai perdere, dalla ventesima alla quarantunesima, con 17 vittorie e 4 pareggi, più alto numero di punti in casa, 39 su 40, cifra più elevate di gol messi a segno, ben 125; minor numero di reti subite, solo 33. Insomma, fu una stagione dominante in ogni ambito per la squadra torinese e probabilmente anche la migliore della storia di una squadra in Serie A.
Il Grande Torino (Foto: sito ufficiale del Torino)
Il campionato 1948/49 fu invece più combattuto: il Torino concluse il girone di andata a pari merito col Genoa, con Milan e Inter candidate a essere le vincitrici finali. Il 30 aprile i granata pareggiarono a San Siro 0-0 proprio contro i Nerazzurri, mettendo un’ipoteca sullo scudetto. Dopo la partita la squadra si fermò a Milano, dovendo prendere un aereo per un’amichevole contro il Benfica il 3 Maggio.
La tragedia di Superga
“Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”. Sono queste le parole che scelse Indro Montanelli per ricordare quella magica formazione del Torino. Purtroppo tutti sanno cosa portò al tramonto di quella formidabile squadra che incantava gli amanti del calcio sui campi del mondo intero.
E’ il 3 maggio 1949 e Benfica e Torino si sfidano a Lisbona in una gara amichevole. Si tratta di una partita concordata tra i due capitani: Mazzola e Ferreira. Per farvi capire chi fosse Valentino Mazzola, basta ricordare questa indimenticabile citazione di un certo Giampiero Boniperti (disse queste parole nel 1989):
«Ancora adesso se debbo pensare al calciatore più utile ad una squadra, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pelé, a Di Stéfano, a Cruijff, a Platini, a Maradona: o meglio, penso anche a loro, ma dopo avere pensato a Mazzola».
Ferreira invece è stato una bandiera indimenticabile del Benfica, una delle tante che un club come quello portoghese può vantare: 522 presenze con le Águias (le Aquile).
Questi due giocatori celebri e rispettati si erano precedentemente conosciuti in occasione della partita disputatasi a Genova tra Italia e Portogallo. Il fuoriclasse portoghese si accordò in quell’occasione con Capitan Valentino: l’amichevole si sarebbe svolta nelle capitale lusitana per celebrare il suo addio al calcio. Mazzola accettò volentieri e la gara fu messa in calendario per il 3 maggio 1949. La sfida in programma con l’Inter fu spostata, dopo aver ottenuto il permesso dalla Federazione, al 30 aprile.
La partita in casa della compagine portoghese rispecchiò alla perfezione le aspettative: calcio spettacolo e tanto divertimento sia per i calciatori che scesero in campo in quella giornata sia per il pubblico presente. 40.000 persone assistettero a quello scontro tra due squadre fenomenali in cui militavano fuoriclasse destinati ad entrare nella storia di questo sport. In un clima di festa, visto che i numerosissimi sostenitori del Benfica volevano ammirare per l’ultima volta la loro leggenda e regalargli un addio memorabile, le due squadre si resero autrici di una sfida meravigliosa e ricca di gol. 7 reti a referto: 4 della formazione portoghese e 3 dei Granata. Tutti in piedi, tutti ad applaudire Ferreira. Il Toro, seppur sconfitto, mise in mostra per l’ennesima volta il suo gioco sensazionale. Purtroppo, però, sarebbe stata l’ultima volta.
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Il giorno dopo, il Grande Torino ripartì. Alle ore 09:40 il trimotore Fiat G.212, con marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, si sollevò da terra, all’aeroporto di Lisbona. Alle ore 13:00 il mezzo di trasporto adoperato dai Granata arriva all’aeroporto di Barcellona. Alle 14:50 l’I-ELCE decolla con destinazione l’aeroporto di Torino-Aeritalia. All’altezza di Savona il veicolo vira verso nord. Mezz’ora di viaggio circa separa la squadra dal ritorno a casa. Il tempo, a Torino, é pessimo: nuvole basse e pioggia insistente. Alle 16:55 l’aeroporto di Aeritalia avvisa i piloti delle pessime condizioni climatiche. Le nubi per poco non accarezzano il suolo, pioggia battente e raffiche di libeccio. La torre chiede informazioni riguardo la posizione in cui si trova l’aeroplano dei Granata. La risposta arriva dopo qualche minuto di silenzio:
“Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga”. Nel comune di Pino Torinese, il quale non conta oggi più di 10.000 abitanti, c’è una stazione radio VDF (VHF direction finder), per fornire un QDM (vale a dire una rotta magnetica da assumere per dirigersi in avvicinamento a una radioassistenza) in caso di richiesta. Arrivati sulla perpendicolare di Pino, mettendo 290 gradi di prua ci si ritrova allineati con la pista dell’Aeritalia, a circa 9 chilometri di distanza, a 305 metri di altitudine. Appena più a settentrione di Pino Torinese si trova il colle di Superga, che ospita la celebre basilica. Ci sono diverse ipotesi riguardo a cosa possa essere accaduto. Di certo, una strage. Alle 17:03 l’aereo, con quella storica formazione del Torino a bordo, si schiantò contro il terrapieno posteriore della basilica di Superga. Un impatto devastante. Alle ore 17:05 Aeritalia Torre chiama I-ELCE.. Nessuna risposta. 31 morti, tra atleti, dirigenti, giornalisti e membri dell’equipaggio. Una tragedia.
Prime immagini della catastrofe, foto: sito ufficiale del Torino
A Vittorio Pozzo spettò il compito più triste: riconoscere le salme dei suoi ragazzi. Nell’incidente persero la vita i campioni:
Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert e gli allenatori Egri Erbstein, Leslie Levesley, il massaggiatore Ottavio Cortina con i dirigenti Arnaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti ed Ippolito Civalleri.
Oltre a loro, morirono a causa dello schianto dell’aereo anche giornalisti sportivi importanti e all’epoca particolarmente affermati come Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa) e i componenti dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Celeste Biancardi e Antonio Pangrazi.
L’I-ELCE
Per rendere onore alle persone che persero la vita in questo disastro, si tenne, nel capoluogo lombardo, una lunga ed ininterrotta processione, con le bare che erano allineate a Palazzo Madama. Il 6 maggio 1949 mezzo milione di persone assistette ai funerali, con tutta la città di Torino che si strinse attorno ad una squadra che aveva fatto la storia. Si presentano rappresentanze di tutte le squadre italiane e di molte formazioni straniere, oltre ad Andreotti, in nome del governo ed il Presidente della Federazione Gioco Calcio, Ottorino Barassi, il quale lesse i nomi di tutti i calciatori di quel Toro straordinario che mai verrà dimenticato, come se i Granata dovessero scendere in campo. Solamente tre membri di quella squadra si salvarono e non morirono nell’incidente, poiché non presero parte, per differenti ragioni, alla trasferta in Portogallo. Vale a dire Renato Gandolfi, secondo portiere che aveva lasciato il posto a Dino Ballarin, Sauro Tomà, indisponibile causa un infortunio al ginocchio, e Luigi Gandolfi, promessa della compagine piemontese che non si era ancora imposta in prima squadra. Non andarono incontro alla morte nemmeno Ferruccio Novo, colpito da una pesante broncopolmonite, e l’illustre telecronista Nicolò Carosio, il quale non partì per il Portogallo per via della cresima di suo figlio.
I funerali a Torino, foto: sito ufficiale del Torino
L’annata 1948-1949 fu portata al termine dalla squadra giovanile del Toro, la quale partecipò ai quattro rimanenti incontri contro le formazioni delle altre compagini del campionato. I Granata trovarono il successo in tutti questi ultimi impegni e la classifica, a fine campionato, parlava chiaro: Torino primo con 60 punti, insegue l’Inter, distante 5 lunghezze. Il 26 maggio 1949 si disputò una partita amichevole allo stadio Comunale, lo scopo era uno solo: raccogliere fondi da devolvere alle famiglie delle vittime. L’avversario era una formazione di prestigio importante, il River Plate, che affrontò il Torino Simbolo, un undici composto da calciatori di altissimo livello prestati dalle altre squadre dal campionato. I Granata che si resero protagonisti di questo bellissimo gesto erano i seguenti giocatori: Sentimenti IV, Manente, Furiassi, Annovazzi, Giovannini, Achilli, Nyers, Boniperti, Nordhal, Hansen, Ferrari II, Lorenzi. Gli avversari schieravano un certo Di Stefano. Le due formazioni regalarono uno spettacolo meraviglioso ad un Comunale gremito e la partita terminò 2-2.
(Articolo scritto da Andrea Ascari, Lorenzo Volponi, Nicolò Vecchi e Cristiano Cavallaro)