Dagli allenamenti con Chiellini allo sbarco in Serie C – la nostra intervista a Stefano Pellizzari
9 min readAbbiamo avuto il piacere di intervistare Stefano Pellizzari, difensore centrale della Fermana che ha realizzato una splendida annata in Serie C. Gli abbiamo fatto svariate domande sulla sua carriera e non solo e lui ci ha dato delle risposte davvero interessanti, raccontandoci le avventure da lui vissute fino ad oggi, partendo dalle giovanili della Juventus e terminando con la sua ultima stagione. Lo ringraziamo per avere partecipato e per averci regalato un’opportunità splendida.
“Qual è, secondo te, la differenza principale tra una realtà dilettantistica ed una professionistica?”
“Fortunatamente, nel mondo dilettantistico non ci sono mai stato: ho sempre giocato tra i professionisti. Una grande differenza, comunque, la fanno i giocatori. Ti puoi sentire un professionista anche giocando in Terza Categoria, lo fa la tua mentalità. C’è gente che non ha tecnica o doti fisiche, ma ha qualità come la competitività e la motivazione. Magari gioca in Eccellenza, ma quella roba lì, tra i professionisti, serve. Quindi, se ti dovessi dire una differenza tra i dilettanti e i professionisti, secondo me, potrebbe essere la professionalità globale del giocatore. Al di là dell’aspetto tecnico, c’è anche l’aspetto umano del giocatore”.
“Che emozione hai provato a giocare contro la Vis Pesaro, la tua ex squadra? Tra l’altro è un derby”.
“È stato bello a 360°; si trattava di una partita fondamentale sia per noi che per loro. Quando giochi contro le tue ex squadre e i tuoi ex compagni è sempre un’emozione diversa. Conoscevo bene l’ambiente, anche se ci sono rimasto 6 mesi, è stata una bella emozione, anche perché poi abbiamo giocato di sera, c’era il pubblico, c’era gente”.
“Pensi che l’anno prossimo possiate puntare alla qualificazione ai play-off?”
“Ancora non so se resterò a Fermo. Nel caso in cui dovessi rimanere lì, sarebbe bello puntare ai play-off perché, comunque, è una società che punta sempre a salvarsi e a regalare qualche emozione. Quest’anno non ci siamo arrivati per poco: sarebbe bello riuscirci sia per noi, sia per la città di Fermo. La piazza è calda, è viva, merita sicuramente di fare i play-off, di fare un po’ di più. Quindi, spero, se l’anno prossimo dovessi rimanere, di fare i play-off e giocare per qualcosa di più bello”.
“Quando hai giocato nelle giovanili della Juve, che emozioni hai provato a giocare una partita in UEFA Youth League?”
“Sicuramente, per me che sono anche un ragazzo di campagna, giocare e arrivare alla Juve, – anche se Primavera -, era impattante, molto emozionante. Riguardo alla partita, ormai eravamo usciti dai gironi, però ho giocato contro l’Atletico Madrid, in diretta europea, allo stadio di Vercelli. E’ stato decisamente bello perché comunque giochi una partita di Youth League e vedi dei giocatori di un’altra categoria. L’Atletico aveva giocatori veramente forti, non sembrava neanche avessero la nostra età. E la cosa emozionante che mi ricordo è stata la tranquillità con la quale allora affrontavano una partita così, anche se comunque oramai in palio non c’era più niente. Sono arrivati nello spogliatoio della Pro Vercelli e – mentre noi eravamo tutti seri – loro, invece, giravano con la cassa della musica, proprio quelle cose un po’ da argentini o spagnoli. Sono arrivati con tranquillità, han “preso”, hanno vinto 3-0 e se ne sono tornati a casa. Però è stato davvero emozionante. Purtroppo, visto che ero arrivato da un paio di mesi, in base alle regole vigenti non sono riuscito ad andare a giocare all’estero in Youth League”.
“Hai giocato anche in Austria, quali sono le differenze che hai potuto constatare tra Austria e Italia, soprattutto riguardo lo stile di gioco? Hai notato differenze o sono comunque due Paesi simili, nell’ideologia calcistica?”
“La cosa che mi è rimasta di più dell’Austria – oltre al fatto che si vive bene ed è un bell’ambiente – è, anche in quel caso, la tranquillità con cui affrontano le partite. Magari in Italia ci sono tensione e paura nel disputare un match; invece, loro la vivono come un calcetto. Si trattava comunque di Serie B e la cosa che mi ha colpito di più è che lì si fa tattica, ma non è paragonabile a quella italiana. Mi capitava quindi, dal mio punto di osservazione di difensore centrale, di vedere un po’ il far west: gente che correva a destra e a sinistra senza un senso, ma veramente forte sia a livello fisico che tecnico. Giocatori non prestanti fisicamente, ma dotati di una tecnica pazzesca. Ed era bellissimo giocare lì, anche vedendo i massicci investimenti nelle strutture e negli ambienti. Tutti i campi, di qualsiasi categoria, erano infatti perfetti. Ricordo sempre la volta in cui, pur giocando contro una squadra di prima categoria, abbiamo trovato un manto erboso degno di Wembley. Si tratta di un aspetto a cui tengono tanto, hanno una cultura diversa del calcio. In generale, dunque, è stata un’esperienza assolutamente positiva ed entusiasmante”.
“Quali caratteristiche deve avere un difensore centrale per compiere in maniera corretta il proprio compito?”
“Ho avuto la fortuna di allenarmi con grandi giocatori come Chiellini e Barzagli. Ho visto dal vivo anche Bruno Alves, che è uno che mi ha impressionato tantissimo. Comunque, la caratteristica principale è sicuramente la concentrazione e anche il gioco pulito, ma anche la personalità nel comandare tutti, nel farsi sentire, nell’essere leader, perché comunque sei lì dietro e vedi tutto. Le caratteristiche principali, per me, sono l’attenzione – che riguarda un po’ tutto: la marcatura, il chiamare il tuo compagno, aiutarlo – e sicuramente l’intelligenza tattica. Quella fa la differenza, perché non è applicata alla squadra, riferita al singolo, una tattica individuale, che uno sviluppa interiormente, grazie a quello che gli hanno insegnato negli anni. Poi, sicuramente, subentrano la fisicità e la tecnica perché comunque vedo tanti giocatori che, pur non essendo fenomenali dal punto di vista tecnico, sono molto concentrati e fanno categorie importanti. Si tratta di un aspetto fondamentale se vai, ad esempio in realtà come quella dell’Austria, dove la tecnica è tenuta molto in considerazione – i passaggi, lo stop e anche tanto i lanci. Soprattutto i primi due, però,- ”.
“C’è una partita che a te è rimasta impressa? Se c’è, ovviamente, qual è?”
“Dipende dai momenti. Quella che non ho giocato – la vittoria del campionato con la Reggiana – a livello emotivo, è stata importantissima. Spero che chiunque possa condividere un’emozione così grande. Però, se ti devo dire di partite che ho giocato, quelle che mi hanno colpito un po’ di più sono state una col Vicenza, dove c’erano 10.000 persone, e poi giocare quest’anno a Reggio, contro la Reggiana, con lo stadio che era quasi pieno… giocare a casa mia, con gente che conosco, è stato bello. Ma poi ce ne sono tante altre, come quelle in cui mi giocavo i play-out. Però, se te ne devo dire una, infine, mi viene in mente la vittoria del campionato con la Reggiana. Quella contro il Bari, che non ho giocato, ma era come se fossi in campo”.
“Preferisci giocare con una difesa a 3 o con una difesa 4? C’è qualche differenza che noti?”
“Bella domanda, nel senso che io preferisco giocare a 3. Mi sento molto di più un braccetto, sia di destra che di sinistra – infatti, quando ero piccolo, giocavo terzino -. Quest’anno, però, ho giocato sempre a 2. Sicuramente, a livello di concentrazione, è molto più impegnativo. Se devo essere sincero, però, mi piace di più giocare a 3. Ho fatto anche il quinto, mi piace la difesa a 3”.
“In Austria hai fatto 2 presenze da terzino destro, come ti trovi in quel ruolo?”
“La differenza è che, sicuramente, c’è più libertà nel poter spingere e nel poter tornare. Nel senso che, magari, qua in Italia ti dicono: ”Se vai devi avere la forza di tornare”. Là, comunque, ti coprivano. Poi, da terzino, ne ho giocata una, poi ho giocato 3 o 4 partite da mediano, in un centrocampo a 2. Lì, per me, che ero difensore, è stata veramente tosta, a livello di corsa, perché lì corri veramente tanto. Al di là del centrocampista, in Austria, non essendoci tanti ruoli, corri abbastanza”.
“Ultimamente si sente parlare sempre di più di salute mentale nel calcio. Secondo te, quanto è effettivamente importante avere, magari anche se non si è tanto forti con la palla tra i piedi, una buona mentalità? E tu, da interno comunque del mondo del calcio professionistico, hai conosciuto dei giocatori fortissimi, ma che, o per problemi di salute mentale o perché proprio gli mancava la testa per giocare ad alti livelli, non sono mai sbocciati?”
“Sì, è una cosa importante. Ho conosciuto dei ragazzi che magari non avevano la testa ma avevano degli ottimi piedi e purtroppo non sono riusciti a fare una grande carriera. Ci sono tanti ragazzi che subiscono le pressioni o non riescono ad esprimersi, all’interno dell’ambiente come vorrebbero, ragazzi che magari vanno felici a giocare con gli amici e poi, appena mettono piede in campo, si fanno prendere da un po’ paura. Il supporto di uno psicologo del calcio che aiuti a gestire queste ansie è importante”.
“La Serie C, con i suoi tre gironi, ha dimostrato di essere un campionato di livello importante, formato da squadre di spessore. Come credi che si potrebbe promuovere questa divisione che, purtroppo, poca gente guarda?”
“Quest’anno l’hanno messa su Sky, che forniva qualche partita di Serie C. Logicamente, purtroppo, in Serie C mancano i fondi per queste cose. Il sentiero giusto potrebbe essere quello di venire di più allo stadio. La Serie C, per chi è esterno, sembra un calcio brutto, quando in realtà ci sono molte squadre buone, molti giocatori buoni, un po’ tutti giovani. È uno spettacolo. Non dico di certo tutte le partite, però molti incontri di Serie C sono belli da venire a vedere. Quindi, magari, l’incentivo potrebbe essere questo”.
“Qual è, secondo te, nel calcio, la cosa più importante per arrivare in alto?”
“Secondo me è la costanza nel voler sempre vincere. Questo, secondo me, può portarti ad alti livelli perché la costanza, il voler sempre vincere, il non accontentarsi mai, ti porta a migliorarti in tutto. Se ti stai impegnando a fare tecnica, nel calcio, dici: ”Ok, voglio migliorare tecnicamente perché voglio vincere”. Penso che questo sia il segreto anche perché, come si dice sempre, quello che conta di più è la motivazione.
“Qual è stato l’attaccante più forte che hai marcato?”
“Gli attaccanti più forti che non ho marcato – perché alla fine non sono riuscito a marcarli – sono Tevez e Llorente, perché ho avuto la fortuna di giocare a Villar Perosa. Però, ti dico la verità: in allenamento il più forte e difficile da marcare è stato Giovinco. Non ho mai visto palla con lui. Poi, se devo parlare magari di Serie C, ho avuto contro giocatori forti: c’è stato Caracciolo. Poi c’erano 2 o 3 giocatori di Serie C che erano veramente forti, magari quelli un po’ più piccolini. C’è stato anche, quando era all’Entella, Caputo. Quindi ci sono un po’ di giocatori. Ah, anche Mota Carvalho. Ci ho giocato insieme sempre a Chiavari. Sono questi i giocatori che mi hanno impressionato un po’ di più”.
“Dato che, in questo momento, la Nazionale Italiana sta vivendo un momento di crisi, secondo te, in Serie C o comunque non nella massima categoria, si potrebbero trovare dei giocatori degni di giocare in nazionale e che potrebbero risollevarla?”
“Mai dire mai, però comunque io penso che, per giocare certe partite, devi essere abituato. Se vai a giocare a Catania o Bari, comunque giochi in piazze che neanche in Serie A ci sono: devi essere avvezzo più a livello mentale che tecnico. Andare a pescare nelle serie inferiori è un azzardo per queste caratteristiche. Adesso Mancini sta valorizzando prendendo dei giocatori che non giochino per forza nelle top delle squadre, quindi diciamo di “ni”. Fossi io l’allenatore, logicamente, massimo mi potrei spingere in Serie B, in Serie C no”.
“Francesco Messori è stato l’ultimo a partecipare ad una nostra intervista. Anche lui è di Correggio, non so se conosci la sua storia. Se la conosci, cosa ne pensi?”
“Sì sì lo conosco. L’anno scorso è venuto al camp estivo della Sammartinese. Io ho avuto 1 o 2 mesi in cui mi sono allenato un po’ con lui perché dovevo fare riabilitazione. Penso che sia la storia di un grande ragazzo che è riuscito a trasformare la sua disabilità in un valore aggiunto. Quindi è stato un grande, poi è una persona d’oro, una persona con cui puoi parlare a 360 gradi. Francesco è un grande”.