Settembre 16, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

Roberto Cevoli: “Rappresentare il mio Paese è motivo di grande orgoglio” – Dentro l’area tecnica #1

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Per la prima volta dalla nascita del nostro sito, abbiamo avuto l’enorme piacere di intervistare un allenatore: Roberto Cevoli. Nella sua grande carriera da calciatore, ha vestito le maglie di Reggiana, Torino, Cesena, Modena e non solo, esordendo in Serie A a 33 anni. Nel 2005, però, complice anche un problema ad un ginocchio, ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo. Tenendo bene in mente i consigli di mister Carletto Ancelotti, avuto a Reggio Emilia, ha intrapreso la sua esperienza da tecnico. Partendo dalla panchina del Vicenza, come vice, è poi arrivato a gestire squadre come Renate – il cui portiere era Di Gregorio -, Reggina, Imolese e Novara. Oggi è il ct di San Marino ed è fiero di rappresentare il suo Paese e gli auguriamo di raggiungere i traguardi più alti possibili. 

Ci teniamo, pertanto, a ringraziare sia mister Cevoli che l’ufficio stampa della nazionale sammarinese per la bella opportunità concessa e per averci permesso di cominciare questa rubrica, che ci vedrà portare tanti altri ospiti interessanti.

“Partiamo dalla carriera da giocatore, per poi allacciarci a quella da allenatore: alla Reggiana ha avuto un mister come Ancelotti. Quanto è stato importante, per lei, questo tecnico?”

“Per me è stato importantissimo: è stato un punto di riferimento e ho cercato di seguire le sue orme e i suoi insegnamenti. Lui aveva una calma olimpica, che oggi notano tutti. Il primo anno a Reggio Emilia, nonostante fosse alle prime esperienze, aveva un’empatia incredibile, unita ad una capacità di farti stare bene fuori dal comune”. 

“Ha esordito a 33 anni in Serie A, in un Modena-Milan: cosa l’ha spinta a non mollare mai e cosa si prova a debuttare in massima categoria a quell’età?” 

“Ci vuole anche un pizzico di fortuna in certi momenti per arrivare a realizzare i sogni. Il mio era proprio quello di arrivare in Serie A: ce l’ho fatta tardi, però, come dicevi tu, ho sempre avuto l’idea di poter raggiungere questo obiettivo, con il lavoro, la determinazione e il carattere. E, alla fine, sono stato premiato. Tornando a prima, la fortuna serve nel capitare nel posto giusto al momento giusto, perché io mi sono trovato a Modena due anni prima e una squadra che aveva vinto la Serie C è stata capace di vincere anche la B, guadagnandosi la A. 

È  una cosa che raramente capita, però era un gruppo forte e sano che si è tolto grandi soddisfazioni, permettendo a molti giocatori che venivano dalla C di esordire in massima categoria. Quindi è stato un grande traguardo”.

“Passando all’esperienza da allenatore: è partito da vice a Vicenza, poi ha allenato Foligno e Monza. Quindi, come sono stati gli inizi della sua carriera? Come fa un mister ad acquisire determinate certezze all’interno del suo gioco?” 

“Nel 2005 avevo un problema al ginocchio: non avevo ancora smesso, ma Camolese mi chiamò e mi chiese di essere il suo assistente a Vicenza. Questo mi fece scegliere di smettere di giocare e di iniziare la carriera da allenatore, quindi anche in questo ci vuole un po’ di fortuna. Ho avuto questa richiesta nel momento in cui avevo un guaio fisico e dovevo scegliere se smettere di giocare o provare a continuare, seppur con grandi difficoltà – l’ultimo anno fu molto problematico per me, visto che ero sempre infortunato -. Tutto ciò, dunque, mi aiutò a scegliere di fare il mister, poi da lì è nato tutto: Camolese è stato una parte importante della mia cultura calcistica, perché mi ha insegnato a fare il tecnico, a organizzare un allenamento, a cercare di capire tutte le dinamiche che, quando smetti di giocare, ti trovi dall’altra parte”. 

“Ha allenato anche la primavera della Reggina: che differenze ci sono tra gestire una prima squadra ed una primavera?” 

“Nella primavera, sei a disposizione dell’allenatore della prima squadra. Quindi, devi cercare, con il lavoro, di migliorare i ragazzi e di portarli appunto in prima squadra. Quando un ragazzo che alleni viene chiamato dai grandi, devi essere soddisfatto, perché vuol dire che stai facendo un buon lavoro. Questo mi ha fatto crescere molto, perché, nei settori giovanili, puoi fare degli esperimenti e sbagliare senza problemi, visto che, in teoria, non c’è la necessità di fare il risultato”. 

“Ha avuto due capitoli, seppur in due momenti diversi, davvero positivi al Renate. Partendo dal primo, avete eliminato l’Empoli in Coppa Italia e avete perso una sola delle 15 partite di campionato. Oltre tutto, aveva ragazzi come Di Gregorio, Turati, Pavan, Lunetta e non solo: quanto è stato positivo per lei quel periodo?” 

“È stato molto positivo. Hai fatto un elenco di atleti che oggi sono in Serie A o in B, quindi vuol dire che quella squadra era stata costruita bene e aveva giocatori forti. L’allenatore diventa bravo quando trova i calciatori bravi – questo mi sembra abbastanza logico -”. 

“A Reggio Calabria ha giocato con la difesa a 4 fino alla sedicesima giornata, poi è passato a 3: da lì in poi ha perso una sola volta, contro il Catanzaro…”

 “…Che, tra l’altro, mi è costata l’esonero” 

“Cosa l’ha indotta a cambiare modulo?” 

“Mi ero reso conto, con il mio staff, che i ragazzi non riuscivano a fare le cose che gli chiedevamo con la difesa a 4. Avevano un po’ di timori e qualche remora, quindi, da quel momento, abbiamo deciso di schierarci con una retroguardia a 3 – che, chiaramente, diventava a 5 -. Così le cose sono andate molto meglio e abbiamo fatto un bel percorso, per cui siamo ritornati un po’ sui nostri passi, perché credo che la capacità dell’allenatore sia quella di cercare di mettere i giocatori nelle condizioni migliori, in modo da tirare fuori da loro il meglio. E noi, in quel caso, c’eravamo resi conto che avevano delle difficoltà, dunque abbiamo cercato di farli rendere meglio; loro hanno capito e ci sono venuti dietro”. 

“Ha poi allenato l’Imolese – presentandosi con un bel successo contro il Padova – e qui ha sempre utilizzato il 3-4-1-2. Peccato, però, che sia poi stato esonerato: come vive il licenziamento un allenatore?” 

“Gli esoneri, da allenatore, si vivono tutti male. È chiaro che, anche lì, soprattutto le prime volte,  rimani amareggiato, dopodiché inizi a “farci il callo” e capisci che molte volte vieni mandato via anche se ci sono pochi motivi per farlo; altre volte ci sono più cause e quindi sei un po’ più sereno, quando ti rendi conto di ciò. All’Imolese avevamo iniziato molto bene, poi, nel periodo prima di Natale, abbiamo fatto 7-8 sconfitte, quindi, in quel caso, credo che ricevere un esonero sia anche giusto. Questo perché la società deve riuscire a cambiare le cose, poiché se i risultati non arrivano bisogna cambiare strada”. 

“È successivamente tornato al Renate: qui ha ripreso il 4-3-1-2, passando poi a 3. Inoltre, ha lanciato un centravanti come Maistrello. Quanto è stata bella quell’annata per lei?” 

“È stata una stagione ricca di soddisfazioni. Tra l’altro, sono subentrato dopo la prima giornata, quindi non avevo fatto il ritiro e non conoscevo i giocatori. Dunque, anche da quel punto di vista, è stato un capitolo della mia carriera molto positivo, perché per me subentrare era un’esperienza nuova”. 

Siete pure arrivati quarti, centrando i play-off. Nell’avventura precedente, al Renate, aveva già fatto bene, ma qui si è ulteriormente migliorato: cos’ha provato?” 

“Renate è un ambiente che ti mette nelle condizioni di allenare bene, perché c’è gente che ha fatto calcio, come il direttore generale Crippa, che conosce le dinamiche. Inoltre, c’è un presidente che ti lascia lavorare e la società è seria: ci sono tutte le prerogative per fare delle ottime annate e così è stato. E poi, comunque, anche lì ho trovato la fortuna di avere giocatori forti: oltre a Maistrello, c’era Galuppini, che in un girone di andata mi fece 20 gol. Si ritorna sempre a quello che dicevo prima: si riesce a fare bene quando hai i giocatori forti. Non per sminuire il lavoro del mister, però, se hai calciatori meno bravi, fai più fatica, anche come tecnico”. 

“Cosa ha tratto di importante dall’esperienza di Novara?” 

“Novara è stata un’esperienza bellissima, perché sono stato scelto dal direttore sportivo – a cui ero molto legato, poiché era stato un mio giocatore a Monza – e dal presidente. Dunque, ho ritrovato un mio ex allievo, che mi ha fatto lavorare bene. Avevamo iniziato anche lì benissimo e preciso una cosa: sono subentrato prima della prima domenica della prima giornata di campionato, quindi anche qui non ho fatto il ritiro e non conoscevo i giocatori, perché la squadra era stata costruita per un altro allenatore. Queste sono tutte problematiche che un mister si porta indietro inevitabilmente. Avevamo iniziato molto bene – eravamo addirittura primi dopo una decina di partite -, poi, come in tutte le cose, capita che si abbia una flessione: dopo qualche risultato mancato, il presidente – uno che voleva vincere – ha deciso di esonerarmi. Tuttavia, mi rimane un grandissimo ricordo, soprattutto della tifoseria – Novara era una piazza che qualche anno prima aveva fatto la Serie A, quindi c’era un ambiente molto bello e professionale -. Sono stato molto bene e ho un bel ricordo”. 

“Oggi allena San Marino: cosa l’ha spinta ad accettare questa proposta e quanto è diverso allenare una nazionale rispetto a un club?” 

“Innanzitutto, ci siamo incontrati: sono stati loro a cercarmi e questa era una cosa che volevo fare dentro di me, quindi sono capitato nel momento giusto. Tra l’altro, io avevo avuto dei problemi di salute, quindi avevo bisogno di un impegno un pochino meno gravoso, rispetto a gestire una squadra di club, dove hai i giocatori a disposizione quasi 24 ore su 24. Con la nazionale ti alleni meno frequentemente, quindi, per me, era l’occasione giusta per riuscire a rimettermi in pista dopo quello che mi era capitato. Inoltre, io abito a San Marino, dunque sono a casa: sono sammarinese e rappresentare il mio Paese è motivo di grande orgoglio e anche questo mi ha fatto pensare che fosse il momento giusto. È un’esperienza bellissima, perché, comunque, incontri delle nazionali che vediamo solo in televisione, quindi, sia per me che per i ragazzi che ci giocano, sono esperienze favolose. Voi capite che, ricollegandomi a quanto dicevo prima, ovvero che hai i tuoi ragazzi una volta a settimana circa, le difficoltà sono enormi, perché puoi incidere di meno”. 

“Parlando proprio di lei, quali sono gli aspetti su cui più insiste?” 

“Io, in una squadra, cerco sempre di trasferirle il concetto di essere propositiva, quindi di non subire la partita, ma di cercare di farla, dunque di avere il possesso palla, di cercare di fare determinate cose per poi andare a fare gol  – l’obiettivo è poi sempre quello -. Insisto sullo studio degli avversari, in maniera da aiutare i giocatori a fare meglio ciò che gli chiedo”. 

“Ogni allenatore ha un suo staff: quante volte si confronta con esso? C’è qualcuno con cui ha lavorato che è arrivato in alto?” 

“Io mi confronto quotidianamente con i miei collaboratori. Sono ragazzi che avevano già lavorato con me: il mio assistente era con me a Monza, il preparatore dei portieri aveva giocato con me… sono persone che conosco – chi da più chi da meno tempo -, però sono tutti molto professionali e vogliosi di dare il loro apporto alla causa”. 

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