“Passami il ‘Nardo’ che proviamo a vincerla” – La nostra intervista a Riccardo Nardini
9 min read“Passami il Nardo che proviamo a vincerla”, disse Walter Novellino a Massimo Taibi al telefono, dopo essere stato espulso contro il Siena, ai tempi del Modena. Calciatore carismatico, Riccardo Nardini è riuscito a conquistarsi la fiducia di ogni società e di ogni piazza in cui è stato, rivelandosi un esempio davvero speciale sia dentro che fuori dal campo. Abbiamo avuto il piacere di sottoporgli diverse domande e lui ci ha raccontato le tappe più importanti della sua carriera, dalla Sangiovannese di Maurizio Sarri alla Serie A con la Reggina di Mazzarri.
Lo ringraziamo vivamente per la bella opportunità concessaci.
“Alla Sangiovannese sei stato allenato da un mister come Maurizio Sarri. Quali sono gli aspetti su cui insisteva e cosa ti è rimasto impresso di lui?”
“Io intanto ho mosso i primi passi a Fiumalbo, dove sono poi tornato, quindi posso dire di aver iniziato e concluso la mia carriera dove sono nato e cresciuto. Per quanto riguarda Sarri, l’ho conosciuto nei 6 mesi in cui sono stato lì – arrivai a gennaio -. Abbiamo subito vinto il campionato di C2 – era il suo primo anno da allenatore nei professionisti, mentre per me il secondo, quindi ero molto giovane -. Lui era un insegnante di calcio, un appassionato che utilizzava il 4-2-3-1 o comunque il vecchio 4-4-2 e che aveva smesso di lavorare in banca per intraprendere questa strada da tecnico. Ci è riuscito ed è stato molto bravo; inoltre negli anni si è evoluto, cambiando moduli: ora gioca con il 4-3-1-2/4-3-3. Con lui ho un ottimo rapporto extra calcio”.
“Cos’hai provato quando hai esordito in Serie B con il Catania?”
“Ho esordito al San Nicola di Bari ed è chiaro che se parti da Fiumalbo e arrivi a giocare nei professionisti – militando anche in Serie B ed A – l’emozione sia tanta”.
“Un tuo compagno al Catania è stato De Zerbi: ti aspettavi che potesse fare così tanta strada da allenatore?”
“Era un personaggio particolare, un giocatore estroso e forte per la categoria. Quando l’ho conosciuto io, aveva 25-26 anni, poi ognuno ha preso la sua strada, dunque ci siamo un attimo persi. È sempre stato, però, un caratteriale, uno che credeva molto nelle cose. È riuscito a fare una grande carriera e gli va dato merito, perché ha portato sicuramente delle novità al calcio internazionale”.
“Parlando di un altro debutto, cosa hai provato quando sei sceso in campo per la prima volta in Serie A, contro il Cagliari?”
“Anche se sono stati soltanto 5 minuti, si è avverato un sogno. Il 28 gennaio 2007 mi si è aperto un mondo, perché raggiungere quello per cui mi sono allenato e per cui ho lottato, stando lontano da casa, è un’emozione enorme, da festeggiare con gli amici”.
“Tra l’altro, quella Reggina era una squadra davvero forte, tanto da battere il Milan di Ancelotti (che aveva giocatori come Ronaldo e Cafu) all’ultima giornata. Quanto è stata bella, per te, l’esperienza a Reggio Calabria? Cosa si prova a giocare a San Siro?”
“È stato bellissimo. È chiaro che, quando nel calcio le cose vanno bene, sia bello: è stata una salvezza entusiasmante – era l’anno dei -11 -. L’allenatore di quella squadra era Mazzarri, davanti c’erano Amoruso e Bianchi ed è stata un’esperienza stupenda. Oltretutto, abbiamo affrontato campioni eccezionali: quell’anno il Milan vinse la Coppa Campioni e giocare contro gente che la settimana prima aveva vinto un trofeo così importante è stato emozionante. Ogni settimana, come oggi, inoltre, c’era il doping: io fui estratto e lo feci con Gattuso e Ronaldo il Fenomeno. Sarei potuto stare lì anche tutto il giorno: di solito uno, quando deve fare questo esame, deve fare la pipì e basta e ha fretta di tornare a casa, ma quel giorno è stato bello anche stare lì ad aspettare il doping assieme a loro”.
“Inoltre, alla Reggina hai giocato come difensore centrale, ma anche come terzino destro. Precedentemente, a Catania ma non solo, avevi fatto l’esterno sinistro: come hai fatto ad adattarti in ogni posizione così facilmente? Cosa ti ha insegnato Mazzarri?”
“La capacità di essere duttile in tutte le zone del campo ti aiuta tanto in carriera e arricchisce il tuo bagaglio tecnico. Mazzarri ci ha insegnato a stare in campo, ci diceva di non mollare mai e che il match non finiva mai; inoltre in settimana si provava la partita e lui era maniacale, anche se lasciava spazio alla tua iniziativa personale. È chiaro, poi, che in fase difensiva non si potesse sbagliare niente. Davanti, invece, ognuno ci metteva un po’ il suo. È stato veramente importante per la mia carriera, perché è stato uno che veramente ha creduto in me e mi ha fatto giocare in Serie A”.
“Sei poi passato all’Avellino e hai segnato il tuo primo gol in Serie B contro il Ravenna. Come ti sei sentito in quel momento?”
“Sono stato molto felice, anche perché dall’altra parte c’era Marruocco, che aveva giocato con me a Foggia ed era il portiere del Ravenna in quella partita. Abbiamo ottenuto una bella vittoria in trasferta, importante in chiave salvezza, tanto da permettere all’Avellino di rimanere in cadetteria l’anno dopo. Sono stato bene dappertutto: sono uno di montagna, sono di Fiumalbo e mi sono sempre adattato in tutte le società in cui sono stato. Sono stato tanto al sud, anche se dopo mi sono soffermato molto tra Reggio Emilia, Modena ed Empoli, tuttavia all’inizio della mia carriera non è stato sempre così semplice stare a oltre mille chilometri di distanza da casa”.
“Parlando della Reggiana, hai trovato molta continuità già nella prima stagione, mentre nella seconda sei riuscito ad ottenere un bottino niente male, ovvero 7 gol e 3 assist”.
“Sì, avevo fatto degli “errori” di scelta negli anni precedenti e mi sono ritrovato a giocare in Serie C. Sentivo di non c’entrare nulla in quel campionato e il modo migliore per tornare in alto è fare la differenza, segnando e giocando bene. A Reggio Emilia ho avuto Dominissini, con cui abbiamo raggiunto i play-off: non siamo riusciti a salire, però abbiamo fatto veramente bene e anche in quel contesto mi sono trovato molto bene”.
“Peraltro, nell’arco di 5 partite hai fatto 4 gol e 3 assist”.
“Era un periodo in cui stavo bene, c’era un gruppo fantastico. Quell’anno ho trovato la famiglia della Pasticceria Poli e stavo sopra casa loro, oltre alla famiglia Pellicciari, con cui sono sempre rimasto in contatto. Quando uno sta bene sia dentro che fuori dal campo riesce a dare il meglio di sé”.
“Quanto è stata positiva, per te, la stagione con l’Empoli? Nelle prime 15 partite non avete mai perso e ha giocato con Saponara e Soriano”.
“Sia Soriano che Saponara erano ragazzini molto bravi – il primo veniva dalla Sampdoria, mentre il secondo dal Ravenna -. È stata un’annata molto positiva, perché mi ha permesso di tornare nel campionato che mi ero conquistato sul campo a Reggio Emilia, ovvero la Serie B. Ad Empoli hanno creduto in me – è una bella società, che dà fiducia a tutti – in età abbastanza avanzata – avevo 28 anni – e mi hanno permesso di continuare a militare in quel campionato per altri 7-8 anni. Quindi, sicuramente, è stata una stagione importante per me. È un club all’avanguardia sotto l’aspetto del settore giovanile: fanno crescere molto i ragazzi e infatti ogni due o tre anni saltano fuori dei campioni, come lo sono stati Saponara e Soriano, che hanno fatto grandissime carriere”.
“Ti sei poi trasferito al Modena: come ti sei sentito quando avete sfiorato la Serie A, perdendo i play-off contro il Cesena di Bisoli, che aveva in campo giocatori come Defrel, D’Alessandro e Gagliardini?”
“Il periodo a Modena, per me, è stato il coronamento. Ho trovato una società in Serie B molto sana, in cui stavo benissimo e dove sono stato, per tanto tempo, l’idolo dei tifosi. Giocare per la squadra della mia città è stata una soddisfazione e riuscire a puntare alla Serie A – purtroppo il Cesena di Bisoli era molto forte e una traversa di Babacar ci ha portato a non raggiungere questo obiettivo – è stato molto bello. Sono state stagioni molto positive: mi sono divertito e ho davvero dei bei ricordi, che mi porterò per tutta la vita”.
“Hai giocato anche con Granoche e Sasà Bruno, oltre al nominato da te Babacar: com’è stato, per te, avere questi compagni?”.
“È stato bellissimo. Ognuno aveva le proprie caratteristiche: Bruno era un calciatore completato fortissimo, Baba un attaccante strepitoso, con un attacco della profondità ed una potenza di tiro incredibili, mentre Pablo Granoche era un rapinatore d’area di quelli mai visti. Questi ragazzi hanno fatto il bene del Modena, quando ci hanno giocato. Avere degli attaccanti così decisivi ti regala un grande vantaggio e ne beneficia tutta la squadra”.
“In panchina, invece, c’era Novellino: cosa ti ha dato un mister come lui? C’è un episodio in particolare che ricordi molto volentieri della tua avventura a Modena?”
“Novellino era un decano della Serie B. Aveva vinto tanti campionati e avevo un ottimo rapporto con lui, specialmente nei primi mesi. La cosa più simpatica che vi posso raccontare è quando lui fu espulso a Siena: io ero in panchina e voleva che dirigessi la squadra, perché sapeva che conoscevo bene i ragazzi. Telefonò a Taibi, che era in panchina, e disse:”Passami il Nardo che proviamo a vincerla”. Abbiamo vinto 3-1 a Siena”.
“Sei poi stato girato in prestito ad Ascoli e sei riuscito, inoltre, a realizzare 5 assist. Ciò ti ha permesso di trovare una maggiore continuità l’anno dopo, in gialloblu. Quanto è stato positivo, per te, quel periodo in bianconero?”
“Avevo preso quella scelta perché a Modena avevo avuto qualche problemino. Quindi io andai ad Ascoli e ci diedero il campionato vinto, perché il Teramo fu squalificato per aver comprato una partita. Quindi mi porto dietro un trofeo e una piazza dove si respira calcio vero e dove i tifosi sono appassionatissimi. Ciò mi ha permesso di tornare a Modena, giocando tranquillamente in Serie B per tutta la vita”.
“Sei poi tornato in B con la Pro Vercelli e come compagni avevi Provedel, Bani, Vives, Aramu e Luperto”.
“Lì ho provato una sensazione molto positiva, perché ad agosto di quell’anno mi sono operato di appendicite – avevo una peritonite e quindi ho rischiato di rimetterci la pelle, come si suol dire -. Sono dovuto restare 3-4 mesi a casa, ma, fortunatamente, il direttore Varini mi ha riportato in sella e mi ha fatto andare a Vercelli, dove ho conosciuto tutti questi ragazzi (inoltre, con Provedel avevo già giocato a Modena). Un direttore come lui, di Reggio Emilia, molto bravo con i giovani, è riuscito a trovare 5-6 calciatori che sono diventati grandi campioni, che potrebbero tranquillamente rimanere in Serie A per tutta la vita. Quindi bisogna dare merito appunto ad un direttore che ha fatto questo”.
“Cosa spinge un giocatore che, come te, ha fatto tanta strada, ad approdare nel calcio dei ‘dilettanti’? Che differenze ci sono rispetto al professionismo?”.
“Le differenze sono tante. Quando sono partito, dopo la Veloce, sono stato all’Aglianese e quindi mi sembrava giusto ritornare in una realtà che mi aveva dato una possibilità, quando ero quattordicenne. Mi aveva permesso di andare via di casa, di stare in un collegio, di studiare, di fare le cose che un ragazzo di quell’età lì deve fare per realizzare un percorso in cui possa provare a diventare un calciatore. Quando sono tornato lì, sapevo di star terminando la mia carriera. Sono tornato a casa mettendomi a disposizione della setta locale, dando una mano a dei ragazzi che hanno ancora voglia di fare un po’ di calcio e mi diverto con loro”.
“Hai poi intrapreso una strada da allenatore, guidando La Veloce Fiumalbo. Quanto è stata importante, per te, la tua esperienza da calciatore, prima di ricevere questo incarico? Com’è il tuo rapporto con il ‘dilettantismo’?”
“Il calcio dilettantistico, per me, è vitale, perché io sono un ragazzo di paese e vivo da sempre a Fiumalbo: mi sono sposato qui e le mie due figlie sono di Fiumalbo anche loro. Quindi, mi sento a casa e non mi sento di fare chissà cosa: vivo il dilettantismo a casa mia tranquillamente, in maniera totalmente gratuita, perché la società ha come indirizzo quello di non dare neanche un rimborso spesa a nessuno. E lo facciamo per il bene dei ragazzi della montagna, perché non è facile e siamo in pochi. Proviamo a dare una mano a chi vuole giocare e penso che sia la cosa più bella. Siamo stati a lungo in seconda categoria e quest’anno giocheremo in terza. Penso che sia fondamentale far divertire i ragazzi, allenandoli e tenendoli in forma, oltre a giocare la domenica con un obiettivo principale, che deve essere il divertimento, a differenza di quando sali, dove il risultato conta anche per sostanziose parti economiche – soprattutto nel professionismo -”.