Dicembre 22, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

Attilio Tesser:”Non sono i moduli che vincono, ma l’alchimia del gruppo” – Dentro l’area tecnica #2

16 min read

Siamo felicissimi di poter portare, per il secondo capitolo della nostra rubrica “Dentro l’area tecnica”, un allenatore davvero speciale: Attilio Tesser. Persona davvero unica, ci ha raccontato come il segreto per plasmare una squadra non sia semplicemente quello di comprare dei top player, bensì di creare qualcosa di importante sotto l’aspetto umano, ovvero l’alchimia – citando proprio le sue parole – all’interno dello spogliatoio. Autore di autentiche imprese con Novara – portato dalla Serie C alla A – e Pordenone – con cui, da neopromosso in cadetteria, è riuscito persino ad arrivare ai play-off -, ha inoltre lanciato diversi calciatori straordinari, tra cui Castrovilli, Di Gregorio, Pobega e Ciurria. Ma non è finita qua, perché l’ex tecnico della Triestina ci ha spiegato anche come struttura una settimana di allenamento e ha affermato di essere pronto a tornare su una panchina. 

Ringraziamo davvero di cuore Mister Attilio Tesser per la splendida opportunità concessaci e gli facciamo un grande in bocca al lupo per il suo futuro. 

I primi incarichi che ha avuto sono stati il Sevegliano e le giovanili di Udinese e Venezia. Dopodiché è approdato in Serie C2, al Sudtirol, dove è rimasto imbattuto dalla 10° alla 21° giornata e dalla 25° alla 34°. Come ha vissuto quel periodo? Cosa ha dovuto cambiare del suo modo di allenare?

“Solo un piccolo passo indietro, per parlare della partenza al Sevegliano: era un campionato interregionale di 4° serie, nel paese di 1000 abitanti di Maurizio Zamparini. Ci tengo a ricordare una persona che con il calcio ha fatto la sua strada. Nei settori giovanili provi tante situazioni, fai girare molto di più i ragazzi e cerchi di aiutarli nella crescita tecnica e mentale. Quando ti proietti nel calcio professionistico, invece, devi portare avanti i risultati; per il resto è rimasto uguale. Per fortuna o purtroppo, i punti contano tanto e li ottieni se c’è una crescita e se c’è una condivisione di pensieri e di programmi con i ragazzi: così nasce un’alchimia e questo è sempre stato il mio modo di affrontare questo sport, tra dilettanti, settori giovanili e primavere. Anche con le prime squadre sono sempre partito con queste basi”. 

Come ha reagito – lei che peraltro ha giocato nell’Udinese – alla chiamata in Serie B della Triestina? Ha lanciato due giocatori come Moscardelli e Aquilani, inoltre il primo anno è arrivato 10° e nella stagione successiva si è salvato ai play-out. 

“È stato un bel passo. La Triestina è una società molto importante, di blasone, ed è stata un’esperienza veramente significativa soprattutto per me, a livello di crescita. In C2 hai gli stessi obiettivi, ovvero far crescere, lavorare bene e mostrare impegno verso la società, la città e la tifoseria. Questo ovviamente non cambia; a cambiare è l’impatto che hai tu con questa realtà, ovvero un ambiente e un club importante per il calcio italiano. Fortunatamente le cose sono andate bene ed è stata veramente una prima infornata di Serie B molto rilevante, che ho avuto la fortuna di condividere con il Presidente dell’epoca – purtroppo deceduto – Amilcare Berti, il quale mi ha dato una squadra particolarmente giovane, subentrando a Rossi, che l’anno prima aveva sfiorato la Serie A.Quando sono arrivato io c’è stata una sorta di rivoluzione: sono stati presi tanti giovani, come dicevate voi, per esempio Ferronetti, Mantovani, Aquilani, Galloppa… Mi ha dato questo organico e ci siamo tolti grandi soddisfazioni. Il mio impatto è stato buono, nonostante venissi da Udine e nonostante appunto la rivalità. È stata un’accoglienza molto positiva”. 

Con il Novara ha realizzato una cavalcata davvero pazzesca. Partendo dalla Serie C, ha vinto il campionato rimanendo imbattuto per 30 partite: cosa ricorda di quella stagione? Qual è stato il ‘segreto’ per fare così bene? 

“Lì si è formato qualcosa di straordinario, che poi ci ha portato a fare il famoso doppio salto. È chiaro che 30 partite da imbattuti siano state qualcosa di incredibile: non è semplice la Lega Pro – lo sapete bene anche voi a Reggio -. In quell’annata abbiamo affrontato anche il Milan in Coppa Italia, dopo aver eliminato il Siena – ai tempi in Serie A – e il Modena – militante in cadetteria -. È stato un percorso veramente notevole, costruito sulle basi in cui credo ancora oggi. Tutti pensano che sia la tattica, ma io dico sempre che la base è creare in spogliatoio quell’alchimia giusta per fare bene, con lo spirito di squadra che ti porta a sentirti forte quando entri in campo, perché hai il compagno che ti dà una mano, oltre ad una società e una tifoseria che ti aiutano. Lì, partita dopo partita, cresceva la consapevolezza dei ragazzi, che sono stati strepitosi”. 

Nel campionato successivo avete fatto benissimo di nuovo: quarta miglior difesa del torneo e promozione ottenuta tramite i play-off. Come ci si sente a vincere i preliminari? Quali sono gli ingredienti per compiere un doppio salto?

“Parto dalla seconda domanda: per scelta avevamo fatto pochi innesti – 3 o 4 e qualcuno neanche aveva ancora militato in quella categoria – e siamo voluti rimanere con quel gruppo. 

Come detto, eravamo rimasti imbattuti per 30 partite e in Coppa Italia avevamo sconfitto una squadra di Serie A, sfiorando anche l’impresa, perché con il Milan abbiamo perso soltanto nel finale. Erano nati una forte convinzione in quello che facevamo, uno spirito di squadra e una cattiveria di fare i risultati non comune. Ho abbastanza esperienza e lo dico anche a posteriori: quella era veramente una squadra che in quel momento non aveva paura di nessuno e questo è stato il successo, perché si andava anche a giocare senza presunzione. C’è differenza tra la sicurezza verso il compagno, verso la squadra e verso il lavoro che si fa in settimana e la presunzione di dire ‘Sono più bravo’: questo non è mai successo, altrimenti non avremmo sicuramente raggiunto quei risultati. Ci sono state, invece, fiducia e sicurezza nei propri mezzi e nel lavoro”. 

Abbiamo avuto il piacere di intervistare un ragazzo che lei ha fatto sbocciare in quegli anni, ovvero Michel Morganella. “Attilio Tesser mi ha dato tanta fiducia sin dai primi giorni”, ha detto. Cosa l’ha spinta a prendere questo calciatore? Le fa piacere sentire le belle parole dei suoi ex allievi? 

“Morganella, come Ujkani, arrivava dal Palermo: fu una proposta dell’allora Direttore Sportivo Pasquale Sensibile. Io non conoscevo questi ragazzi, a differenza sua: abbiamo visto dei filmati e abbiamo raccolto delle informazioni positive, quindi avevamo condiviso la scelta di portarli al Novara. Mi fa molto felice sentire queste parole belle. Sono certo che ci sarà sempre qualcuno che magari sarà stato meno soddisfatto, però penso che una delle mie qualità sia quella di aver creato quasi sempre – non ci sono riuscito dappertutto purtroppo – una fiducia ed una stima reciproca nei ragazzi che ho allenato un po’ ovunque e in tutte le categorie. Questa è la base, uno di quegli ingredienti che dicevo prima per portare a casa i risultati”. 

Cos’ha provato quando ha battuto 3-1 l’Inter? 

“L’Inter è la mia squadra: sono simpatizzante interista da quando ero bambino… Era la mia prima vittoria in Serie A, quindi è stato qualcosa di bello, di particolare. Sono quelle emozioni forti, che ti porti dentro: battere una grande squadra, guidata da un bravissimo allenatore, ovvero Gasperini – all’epoca esonerato in quell’occasione, ma che ha dimostrato successivamente di essere un ottimo mister -, è stato stupendo. Ho avuto la fortuna, da calciatore, di giocare in Serie A con atleti importanti – cito come esempi Zico, Causio ed Edinho e non voglio dimenticarmi qualcuno -: quando li affronti sul campo è una cosa, mentre quando li sfidi da allenatore e rappresenti una comunità, una bandiera, una maglia, è qualcosa di più profondo. Lì è stata una bellissima serata, una bellissima sensazione”. 

Nel Novara, peraltro, c’era un giocatore come Bruno Fernandes: aveva avuto modo di intravedere le sue qualità? 

“Io Bruno Fernandes non l’ho mai visto a Novara, neanche un minuto. Non lo conoscevo e non sapevo chi fosse, inoltre non me l’hanno mai fatto vedere. Era in Primavera e noi ci allenavamo spesso anche con loro, ma in quelle occasioni non l’ho mai visto e nessuno mi ha mai parlato di lui. L’ho notato dopo e ho capito che è un grande calciatore. Io abito ad Udine e dei miei amici mi hanno parlato di questo ragazzo dalle qualità non solo tecniche ma soprattutto umane molto alte”. 

A Terni, per la prima volta, le è capitato di venire chiamato a stagione in corso. Ha iniziato con 11 risultati utili consecutivi ed è arrivato a toccare persino la 13° posizione, chiudendo poi in 16°. Quanto è stato stimolante, per lei, questo capitolo della sua carriera? Quanto è complicato allenare una formazione senza aver fatto prima il ritiro estivo? 

“Era la mia prima volta, come hai detto giustamente tu. Quando subentri per la prima volta ti fai tante domande. Fortunatamente, è stato subito positivo, perché ho trovato un gruppo di calciatori giovani, capitanato da Antenucci e Rispoli, giocatori che si sono messi a disposizione e mi hanno dato tutto quello che avevano da darmi. Mi sono trovato bene, mi sono ambientato velocemente con la squadra e abbiamo fatto bene sin dalle prime partite. Ciò ha chiaramente aumentato la fiducia del gruppo – oltre all’autostima nel lavoro – e ci siamo portati avanti. Non è stato semplice, tant’è vero che abbiamo pagato dopo aver raggiunto una certa “tranquillità” – intendo una zona più confortevole rispetto a quando ho ricevuto l’incarico -, maturata dopo quegli 11 risultati utili consecutivi. Abbiamo tirato il fiato nel finale, però siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo, che non era semplice all’epoca. In Serie B c’erano e ci sono squadre veramente importanti. Mi ricordo Dybala e Vazquez al Palermo: affrontavamo formazioni davvero forti. È stata un’esperienza bellissima e molto formativa, visto che era la prima volta che mi capitava: mi è poi successo solo un’altra volta di subentrare e avevo fatto tesoro di questa avventura a Terni. Oggi, dopo 12-13 anni, mi ritrovo a dover subentrare per la terza volta e spero che questo possa avvenire presto”. 

Passando alla Cremonese, nella stagione 2016-2017, siete arrivati a pari punti con l’Alessandria, in Serie C. Avete vinto, tuttavia, il campionato grazie agli scontri diretti. Cosa si prova ad arrivare primi con così poco margine?

“Il periodo alla Cremonese è stato molto bello. Devo dire che tutte le esperienze lo sono state, perché quando con un gruppo vinci e fai qualcosa di importante è soddisfacente. Non era una squadra giovane, bensì un organico di atleti esperti, dove veramente dovevi gestire molto bene il gruppo e mettere assieme tutti i ragazzi è stato un po’ complicato all’inizio. Collegandomi al discorso dell’alchimia fatto in precedenza, direi tuttavia che ci siamo riusciti. Siamo partiti a rilento, a differenza dell’Alessandria, che è volata via con risultati importanti. Non facevamo male, ma gli altri facevano decisamente meglio. Siamo stati sempre sul pezzo e penso che sia una delle qualità che cerco io di trasmettere alla mia squadra sotto questa prospettiva, perché è doveroso che appunto un mister trasmetta qualcosa. E quell’aspetto caratteriale di non mollare mai e di crederci sempre ci ha alla fine premiato. Serve costanza, chiaramente, e un pizzico di sorte – che ci vuole sempre nella vita – e l’abbiamo perseguita, riuscendo a vincere il campionato alla fine. Io dico anche che è stato meritato il successo, anche perché negli scontri diretti abbiamo vinto in casa e pareggiato in trasferta dopo esserci pure portati in vantaggio. Anche quando ci siamo affrontati, abbiamo fatto meglio noi. Noi, il Livorno e l’Alessandria – a cui bisogna comunque fare i complimenti – eravamo le tre squadre più forti del campionato, però alla fine siamo riusciti noi ad arrivare primi”. 

Nell’annata successiva ha poi lanciato Castrovilli: cosa può dirci di questo giocatore? 

“Nel secondo anno a Cremona abbiamo mantenuto lo stesso gruppo che aveva vinto la Serie C, aggiungendo un giovane come Castrovilli, che ha dimostrato le qualità subito. Alla prima partita interna, contro l’Avellino, ha fatto un gol meraviglioso, quello del 3-1. Era un ragazzo da cui mi aspettavo, viste le sue doti, che arrivasse dov’è arrivato. Mi dispiace per gli ultimi anni pieni di incidenti, ma è un ragazzo pieno di qualità veramente molto elevate”.

Un’altra impresa che ha realizzato è stata quella con il Pordenone, dove ha vinto il campionato di Serie C perdendo solamente 3 partite. Cos’ha provato in quel momento? 

“Quando sono andato a Pordenone, ho preso una scelta che in molti mi hanno contestato. “Ma no, dove vai? A Pordenone?” mi dicevano, invece io ero sicuro di poter fare bene – con ‘sicurezza’ intendo sempre la possibilità di farmi valere, non di vincere -. Lì era particolarmente complicato, visto che combattevamo con squadre come Triestina e Vicenza. Devo dire che ho trovato un gruppo che mi aspettava, un gruppo che la società – anche negli anni precedenti – aveva mentalizzato molto bene. Ho trovato una squadra che mi ha seguito come poche altre volte sin dall’inizio della formazione e sono stato facilitato da un ambiente che era abituato a lavorare e aveva la voglia di seguire. Quella capacità così forte di entrare subito in sintonia l’avevo percepita forse solo a Novara e sin dal ritiro non mi sono detto:’Che squadra forte che ho”, bensì ero colpito dal modo di lavorare e di seguirmi. Di conseguenza, sono arrivato ad apprezzare anche le qualità di ogni singolo giocatore che si è messo a disposizione. Non sto qui a citarne, ma dico Burrai, perché ancora oggi è in giro ed è capitano del Mantova, leader di quella squadra. C’era tanta gente di grande carattere: Misuraca era un altro di questi, assieme al capitano Stefani. È brutto fare nomi, ma anche De Agostini mi ha davvero stupito: aveva 36 anni, però aveva una gamba, una voglia di fare ed una cattiveria che ho visto veramente a pochi. Alla fine, le 3 sconfitte testimoniano un lavoro importante e la vittoria del campionato è stata decisamente meritata”. 

L’anno dopo, peraltro, ha messo in vetrina calciatori come Di Gregorio, Vogliacco, Pobega, Ciurria e non solo. Qual è il modo migliore per valorizzare un giocatore giovane? 

“Siamo arrivati 4° e abbiamo giocato una semifinale dei play-off. Lì forse c’è stato un po’ di rammarico, perché nella partita con il Frosinone ce la saremmo strameritata, poi mai dire mai con quello che sarebbe potuto succedere dopo, in finale. È chiaro, però, che, per essere arrivati 4°, abbiamo fatto un campionato straordinario. A me piace volare basso con le parole e con i complimenti, però con i ragazzi abbiamo creato veramente qualcosa di magico in quel momento e arrivare così in alto in quella categoria non era semplice, ma ci siamo riusciti, con grande rammarico per la semifinale. Parlando dei giovani, mi fa piacere oggi vedere Ciurria, che stava per finire fuori rosa; Pobega, che era un giovane che veniva dalla Ternana, dove aveva fatto il suo primo campionato di Lega Pro, dopo essere uscito dalla primavera del Milan; Di Gregorio, cresciuto nella Primavera dell’Inter e reduce da un campionato di C con il Novara; Vogliacco che era della Juve Primavera, la quale lo aveva dato al Padova, che lo aveva lasciato libero e Matteo Lovisa – il quale sta facendo belle cose anche adesso alla Juve Stabia – lo aveva preso e si era aggregato a noi. Ha saputo aspettare anche lui il suo momento. Ha fatto ottime partite sia in Lega Pro che in B ed è migliorato parecchio, tanto che oggi gioca in Serie A: sono molto felice della sua crescita. Ci sono tanti ragazzi che sono arrivati in alto. Farei ancora il nome di Burrai, oppure quello di Rover che sta facendo bene al Sudtirol ed era arrivato a gennaio… C’è passato tra le mani anche Frabotta, nella seconda parte della stagione, che è andato a giocare con Ronaldo, alla Juventus, in Champions League. Insomma, era una squadra che all’epoca aveva giocatori di valore, ai tempi non conosciuti, ma che sono poi riusciti a tirare fuori il meglio. Li ricordo sempre tutti con affetto e Ciurria direi che per anni non si sia mai dimenticato di ricordarmi questo”. 

A causa del Covid, in quel finale di campionato avete dovuto giocare ogni 3 giorni circa, tuttavia i suoi ragazzi hanno fatto piuttosto bene. Come ha programmato quel periodo con un calendario così fitto? 

“Il Pordenone, innanzitutto, è una società che ha investito molto, perché facevamo sempre i test. Abbiamo saputo prepararla bene sotto l’aspetto fisico e mentale, anche se nel campionato successivo i tanti giocatori con il Covid ci hanno penalizzato. Quando siamo rientrati, siamo stati particolarmente bravi nella gestione fisica e mentale dei ragazzi. Penso che la bravura sia stata coniugare queste due cose”. 

A Modena, nella prima stagione, non è partito proprio benissimo, tuttavia è riuscito, grazie anche alle celebri 14 vittorie consecutive, a vincere il campionato. Cosa può dirci di quella stagione e quanto è stato stimolante il testa a testa con la Reggiana? 

“Siamo partiti con una rosa rinnovata, un mix tra gente giovane e gente esperta, a differenza della Reggiana, che era veramente – faccio i complimenti – una signora squadra, sia come organico, sia per il calcio che ha espresso durante la stagione – lo dico sinceramente -. Noi eravamo anche più giovani e più rinnovati e abbiamo fatto fatica all’inizio – ho avuto anche la società che mi ha difeso in un momento non semplice, dopo le prime partite di campionato -. I risultati portano fiducia: abbiamo fatto due o tre gare – io ho anche fatto delle scelte tecniche particolari, inserendo dei giovani – che ci hanno dato la carica e lì la stagione ha preso una svolta. È iniziata la striscia positiva e la squadra giocava molto bene in ogni incontro. Alla fine, fare 14 successi consecutivi – record della storia della Lega Pro – vuol dire che c’è qualcosa di buono nell’organico ed è stato un meraviglioso testa a testa fino in fondo con la Reggiana, squadra che, come noi, ha fatto un campionato di altissimo livello”. 

Anche il secondo anno a Modena, in Serie B, non è iniziato nel migliore dei modi, ma la squadra ha ingranato al rientro dalla sosta delle nazionali, tanto da rimanere sempre distante dagli ultimi 5 posti, sfiorando i play-off a fine stagione. Come si è trovato in Emilia in questi due anni, dove ha sempre raggiunto gli obiettivi della società? 

“La partenza, come hai detto giustamente, non è stata delle migliori. Dobbiamo forse rivedere qualcosa del nostro modo di lavorare, per iniziare un po’ meglio, con qualche sofferenza in meno. Abbiamo cercato di esaminare questo problema che si verifica nella fase embrionale di stagione, cercando di capire se facciamo errori durante la preparazione e tentando di essere un po’ più brillanti ad inizio campionato. Inoltre, il Modena aveva tenuto tanti dei giocatori che avevano vinto la Serie C e non avevano mai fatto la B – parliamo di 7-8 titolari -. Quindi, sicuramente hanno influito un pochino la poca esperienza di alcuni dei calciatori e l’emozione di cominciare una nuova stagione. Abbiamo poi preso la nostra marcia, il nostro campionato, che è stato regolare, rimanendo prevalentemente tra la 9° e l’11° posizione. Alla fine siamo arrivati 10° e abbiamo sempre mantenuto distante 4-5 punti la zona play-out. Inoltre, per qualche partita siamo stati anche dentro i play-off, ciò significa che il nostro valore sicuramente era quello. Ci siamo posizionati esattamente al centro della classifica e c’è stato un po’ di rammarico perché siamo arrivati ad un punto dai preliminari per la promozione. Tuttavia, se si guarda onestamente l’intera stagione, penso che si debba apprezzare in maniera importante quanto fatto, perché la richiesta era la salvezza e noi l’abbiamo raggiunta in anticipo, facendo anche delle partite di qualità, contro squadre veramente attrezzate. Penso ai due derby consecutivi contro il Parma – che è la stessa formazione di oggi, che l’anno scorso ha vinto la Serie B e che sta andando bene in massima categoria – e al match contro la Spal. Credo che ciò possa significare tanto nell’economia della squadra e penso che abbiamo regalato grandi soddisfazioni ai tifosi e alla società. Questi incontri li porto come simbolo di quell’annata. Le mie due stagioni sono state positive e ho sentito affetto da parte della città – ancora più nel secondo anno -. Nei giorni scorsi sono venuto ad un evento a Modena, che era un ricordo di 50 ex giocatori, allenatori e presidenti che hanno fatto parte della storia del club. Abbiamo ricordato anche la cavalcata fatta con De Biasi. Anche in questi giorni ho sentito una stima incredibile, da quei 100-150 tifosi che erano lì, e questo mi ha fatto estremamente piacere, perché a Modena mi è stato dato affetto e mi ha fatto molto piacere e anch’io ho cercato di ricambiare questo affetto ricevuto”. 

Come organizza lei, generalmente, una settimana di allenamento? 

“In maniera abbastanza classica: non sono un rivoluzionario… Sono cambiati i tempi e un po’ le situazioni, però io, a inizio settimana, riguardo la partita un paio di volte per poi analizzarla assieme ai calciatori. Facciamo la nostra settimana standard, con il doppio allenamento – abbiamo portato le sedute di mattina da 4 o 5 anni nel nostro lavoro, nel nostro staff -. C’è poi un profondo studio degli avversari: guardiamo sempre 3 o 4 cassette tutte le settimane e poi si cerca di preparare il filmato da fare vedere alla squadra, individuando i punti forti o deboli dell’avversario. Verso la fine della settimana c’è la rifinitura e poi bisogna sempre essere pronti mentalmente per cercare di andare a fare il proprio meglio in ogni partita”. 

Ha quasi sempre utilizzato come modulo il 4-3-1-2 ed elementi chiave del suo gioco sono la spinta dei terzini e una punta fisica che dialoga con l’altro centravanti di inserimento, ma non solo. Come fa un allenatore a costruirsi determinate certezze a livello tattico? 

“Io, quando ho iniziato, giocavo con il 3-5-2, poi, per strada, in C2, avevo trovato dei giocatori e sono passato al 4-4-2. Sono partito con questo modulo a Trieste, nella mia prima esperienza in Serie B, ma non ottenevo riscontri particolarmente positivi – era una squadra abituata a giocare con il 4-3-3 -. Quindi ho cercato di trovare lo schieramenti che potesse essere più consono e ho capito che il 4-3-1-2 sarebbe stato l’ideale. Abbiamo raggiunto degli ottimi risultati e mi sono portato dietro ciò, con la consapevolezza che – lo dico sempre – non sono i moduli che vincono, ma la qualità di una squadra, unita soprattutto alla mentalità che si riesce a formare, con l’alchimia – da lì sono partito e da qui finisco – che si deve creare all’interno di un gruppo. Gli schieramenti hanno la loro importanza, ma non sono quelli a rendere una squadra vincente, altrimenti tutti giocheremmo nella stessa maniera. Io porto da sempre avanti questo, perché penso che, con due attaccanti e un trequartista che gioca tra le linee, sia un calcio propositivo e offensivo e in tanti mi riconoscono ciò. Non sono come quelli – oggi in tanti – che pensano che adesso il calcio si faccia solamente in una determinata maniera: bisogna sempre rispettare tutti, ma una cosa è sicura, ovvero che se tendi a chiuderti sempre, facendo partite estremamente difensive, puoi vincere una volta, ma non puoi andare oltre. Io ho sempre cercato di costruire – mi piace tanto farlo -”.

Lascia un commento