Dicembre 21, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

“Reggio mi ha dato tanto” – La nostra intervista a Lorenzo Staiti

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Lorenzo Staiti è un calciatore che tutti i tifosi della Reggiana ricorderanno sicuramente, poiché è stato un assoluto protagonista della cavalcata che ha visto i Granata raggiungere la Serie B con Max Alvini. Quello che, però, non tutti sanno è che nella sua carriera ha addirittura giocato con campioni del calibro di Jorginho – ai tempi della Sambonifacese -, oltre ai vari Petkovic, Caputo e Dany Mota, in Liguria. Ha infatti militato nella Virtus Entella, società che, nel giro di pochi anni, è passata dalla Serie C2 a sfiorare un posto in zona play-off in cadetteria. Di questo e di tanto altro abbiamo parlato in una lunga intervista. 

Ci teniamo a ringraziare il giocatore e la società Sporting Scandiano – dove militerà in questa stagione Lorenzo – per la bella opportunità concessaci e per la straordinaria disponibilità. 

Partiamo dalla tua esperienza al Bassano: sei stato lì per qualche stagione e, inizialmente, non trovavi molto spazio, tuttavia sei cresciuto tanto fino a diventare un titolare fisso e a giocare contro il Bari in Coppa Italia. Cosa ti ha permesso di migliorare così tanto? 

“Sicuramente è stata una scelta forte, perché ho fatto soltanto un anno di Primavera a Treviso e poi, come hai detto tu, sono andato a Bassano, che era una squadra ambiziosa di Serie C2, gestita da un grande allenatore, ovvero Ezio Glerean. Sono partito che ero molto giovane, poi, pian pianino, mi sono ritagliato sempre maggiore spazio in prima squadra, con applicazione e lavorando bene. Sono riuscito a mostrare le mie qualità e il mister ha cominciato a darmi fiducia in una squadra che era costruita per vincere il campionato, quindi l’età media era molto elevata e i giovani erano pochi. È stato un grandissimo percorso formativo e, per merito dei giocatori di esperienza e di un grande mister, è stata una scuola di apprendimento importante. È stata la base di quello che poi mi è servito”. 

Sei poi passato alla Sambonifacese, dove sei rimasto per due anni. Nel secondo campionato hai giocato con Jorginho: cosa puoi dirci di lui? Ti aspettavi potesse arrivare così in alto? 

“Nei due anni alla Sambonifacese ho avuto come allenatore Viviani, che si presenta da solo: da giocatore ha fatto la storia del Vicenza, vincendo la Coppa Italia. Ho preso subito la palla al balzo per essere allenato da lui, in un contesto che valorizzava i giovani. Ho fatto due anni importanti, siglando anche una decina di gol. Nella seconda stagione è arrivato un giovane come Jorginho: fisicamente si doveva ancora formare, ma, per quanto ancora giovane, aveva già una spiccata personalità e una grande dedizione al lavoro. Sicuramente c’è tanto merito suo in quello che è arrivato a fare in carriera. Poi, è difficile a quell’età poter dire chi possa in futuro raggiungere livelli importanti; quello che si vedeva era che, grazie anche all’aiuto di noi un po’ più esperti, si trattava di un ragazzo con voglia di apprendere e di migliorarsi quotidianamente”. 

In quel campionato hai messo a segno 5 gol e hai giocato in diversi ruoli. Quanto ti ha aiutato nel corso della tua carriera essere così duttile? 

“In mezzo al campo ho ricoperto un po’ tutti i ruoli. Io credo che un centrocampista debba essere un giocatore completo: deve essere dinamico, tecnico, deve avere gamba e deve essere bravo a compiere tutte e due le fasi. In quegli anni ho giocato tanto come mezz’ala, con caratteristiche più offensive, di rifinitura. Ho sempre fatto dei gol e qualche assist, poi, sicuramente, nel corso del tempo mi sono migliorato, ma ovviamente è stato un valore aggiunto quello di saper giocare dappertutto a centrocampo”. 

Ti sei successivamente trasferito alla Virtus Entella. Nel primo campionato hai realizzato 10 gol e siete saliti di categoria tramite ripescaggio: che emozione hai provato? 

“Ho fatto 10 gol e tantissimi assist: è stata, a livello personale, una stagione veramente ottima, una di quelle che sicuramente ricordo con maggiore affetto. Siamo partiti con l’obiettivo di vincere il campionato – era stata costruita una squadra forte da una società ambiziosa, che ha confermato di esserlo negli anni – e quell’annata è stata l’inizio della scalata, che poi ci ha portato a conquistare addirittura la Serie B. A Chiavari ho trovato un ambiente sano, dove si poteva lavorare bene, dove c’era tutto il necessario per dare il massimo. Quindi, l’Entella è stata una delle tappe più importanti della mia carriera”. 

Due tuoi compagni sono stati Gennaro Volpe – che ha poi allenato proprio la Virtus Entella – e Francesco Zampano – arrivato persino in Serie A -. Cosa ti è rimasto impresso di loro? 

“Si vedeva che Francesco avesse grandissime qualità, ma – non per cattiveria -, da Chiavari sono passati tanti altri grandissimi giocatori e ho avuto la fortuna di avere spesso compagni davvero forti. Tanti sono arrivati in Serie B e qualcuno anche in A: tra questi ricordo Masucci, Vannucchi, Caputo… Insomma, calciatori molto bravi, da cui anche apprendere, ce ne sono stati parecchi. Ho preso spunto da tutti e sicuramente anche loro hanno appreso da me, per capire come stare in una squadra”. 

Ti aspettavi di arrivare 5° in Serie C, visto che eravate pur sempre una neopromossa? 

“Diciamo di sì, anche se un po’ a fari spenti. La realtà ci permetteva di lavorare bene: la proprietà aveva insistito, la squadra era forte e c’era una costante crescita sia a livello individuale che di collettivo. Sono stati aggiunti giocatori importanti, come appunto Vannucchi, ma anche Guerra, Cesar e molti altri. L’ossatura era importante e arrivammo a giocarci la finale play-off con il Lecce di Chevanton, Giacomazzi, Falco… Quella Serie C era di un livello veramente importante”. 

L’anno dopo avete combattuto con la Pro Vercelli per salire di categoria. Avete perso proprio contro di loro alla penultima giornata, tuttavia tu hai segnato il gol che è valso la promozione all’ultima partita, contro la Cremonese. Che emozione è stata per te? 

“Quella è stata un’annata – sia a livello personale che di squadra – veramente importante. Siamo stati primi dall’inizio alla fine di quel campionato, combattendo ferocemente con la Pro Vercelli, ma siamo sempre stati davanti. Abbiamo spinto veramente tanto tutto l’anno; siamo arrivati un po’ stanchi e abbiamo perso la penultima, come dicevi tu, in casa. Abbiamo poi racimolato le energie per giocare l’ultima con la Cremonese: siamo andati a vincere in trasferta e ho fatto gol. Segnare il gol promozione è qualcosa di veramente bello. Sono quelle sensazioni difficili da descrivere, da condividere con la squadra, perché dietro c’è tanto tanto lavoro per raggiungere gli obiettivi. Volevo la Serie B e sono andato a prendermela facendo il gol promozione, quindi ero doppiamente contento”. 

Nella tua esperienza in Serie B sei partito un pochino indietro nelle gerarchie. Tu, che sei stato un protagonista assoluto della cavalcata, sei riuscito a vivere comunque serenamente ciò? 

“Io, fondamentalmente, sono sempre stato una sorta di titolare anche in Serie B. Il livello di giocatori si è alzato, poi, in quelle due annate, ho avuto tanti infortuni. Il numero minore di presenze è stato legato a quello. Nel primo campionato sono stato fermo 4-5 mesi per delle ricadute muscolari. Avevamo cambiato modo di svolgere la preparazione e i problemi fisici erano legati a ciò. Sono sempre stato, però, un giocatore fondamentale, perché il mio spazio me lo sono sempre ritagliato, anche a discapito di altri calciatori importanti. In cadetteria, il livello è alto e gli atleti presenti in rosa hanno grandi qualità, quindi la competizione è elevata”. 

L’anno dopo hai giocato di più, oltretutto quella squadra aveva calciatori come Caputo, Moreo, Petkovic, Dany Mota e Di Carmine. Quanto era forte quella formazione? Quanto è stato stimolante, per te, allenarti con questi campioni? 

“È stata probabilmente la formazione più forte in cui abbia mai giocato, perché siamo usciti dalla zona play-off all’ultima giornata, dopo aver perso a Crotone. Era una squadra veramente competitiva, con giocatori importanti e in cui il livello degli allenamenti era particolarmente alto. Sono stato, tra l’altro, spesso capitano di quell’undici: provavo tanta soddisfazione e orgoglio. Come ho detto prima, il livello in Serie B è alto e, se arrivi a giocare lì, vuol dire che sei forte. Ovviamente, poi, all’interno della rosa ci sono le singole caratteristiche che vengono scelte mano a mano dall’allenatore, in base alle partite e alle situazioni”. 

Terminata quest’esperienza in Liguria, hai fatto due importanti campionati alla FeralpiSalò, approdando poi alla Reggiana. Sei passato dalla D alla B nel giro di pochi anni: cosa ti ha spinto a scegliere la maglia granata? 

“Dopo l’esperienza all’Entella, ho fatto due anni alla FeralpiSalò, un’altra squadra competitiva. Ho sempre preso molto bene le mie scelte, capendo correttamente dove avrei potuto fare meglio. Ho spesso fatto calcio in realtà che volevano vincere campionati, dove il risultato era fondamentale – la Feralpi, infatti, è recentemente andata in B e si vedeva già l’organizzazione e il modo di lavorare -. Dopo queste due stagioni importanti, in cui ho fatto bene, ho preso una scelta azzardata: mi ha cercato la Reggiana dopo il fallimento – una piazza che mi ha sempre stimolato, inoltre tanti compagni me ne avevano parlato bene – ed è nato subito un bel feeling. È stata una decisione forte, ma l’ho presa con una certa consapevolezza. Ho avuto la personalità e la forza di giocare in Serie D – perché comunque molti calciatori hanno difficoltà a scendere di categoria -. A me piacciono le sfide e questa l’avevo colta al volo, infatti alla fine ho avuto ragione”. 

Quella Reggiana aveva molti calciatori importanti, non solo sotto l’aspetto calcistico, ma anche umano. Uno di questi era sicuramente Alessandro Spanò: cosa puoi dirci di lui? 

“Alessandro è un mio caro amico: siamo ancora in contatto, seppur ci sentiamo un pochino meno, rispetto a quand’era in Italia. Adesso è all’estero: ha fatto un percorso fantastico, prendendo una scelta veramente forte, ma che lo rappresenta a pieno. È una persona veramente equilibrata, con sani principi, determinata nel raggiungere gli obiettivi che si pone. É stato sicuramente un ragazzo che ci ha permesso – insieme all’ossatura di quella Serie D, che eravamo io, Paolo Rozzio, Spanò stesso e Luca Zamparo – di mettere le basi per quella squadra che poi, alla fine, è riuscita ad ottenere, tramite i play-off, la promozione in B. Posso solo spendere belle parole a favore di Alessandro: si è creato veramente un rapporto solido nel tempo”. 

Come hai detto tu, avete riportato la Serie B a Reggio dopo tanti anni, sconfiggendo il Bari in finale dei play-off. Cos’hai provato in quel momento? 

“È stata un’emozione veramente forte, peccato non averla potuta condividere a pieno con i tifosi, poiché era il periodo del Covid e c’erano delle difficoltà a livello nazionale e mondiale. È stato un percorso tortuoso, ma siamo stati bravi tutti quanti a farci trovare pronti. La rosa era composta da elementi veramente di grande spessore tecnico e umano. Quindi, se il campionato non fosse stato interrotto, ce la saremmo giocata fino alla fine con il Vicenza e con il Carpi, qualificatosi ai play-off. La partita con il Bari è solamente il pezzo finale del tragitto importantissimo che quella squadra aveva compiuto in quella stagione. La finale è stata il giusto coronamento di quel percorso di crescita di tutti quanti, dopo tutto quello che è stato seminato sia in campo che fuori”. 

Hai trascorso due bellissimi anni a Lentigione, sfiorando tra l’altro la promozione in entrambe le stagioni. Sei da poco approdato allo Sporting Scandiano: come vive un giocatore arrivato in alto come te l’approdo nel calcio dei ‘dilettanti’? 

“Ho fatto questa scelta di restare qui, perché Reggio mi ha dato tanto e credo e spero di aver lasciato un bel ricordo alla gente, ai tifosi, insomma, a tutti i reggiani. Io, personalmente, ho ricevuto tanto e penso anche di aver dato tanto. Sono esperienze diverse sicuramente, perché quando scendi nei dilettanti le situazioni sono un pochino meno limpide, definite e chiare. Il rischio è quello di creare degli ambienti in cui si faccia fatica a lavorare. Non è il caso dello Sporting Scandiano ovviamente, il cui ambiente appunto mi ha spinto ad accettare, perché c’è voglia di fare e riesco a lavorare bene. Ovviamente, è sicuramente un contesto più genuino rispetto ad altri. Sono stato al Lentigione, come hai detto tu, ed è stata un’altra bella tappa, perché abbiamo raggiunto due finali play-off con un gruppo di ragazzi splendido, con grande voglia di lavorare. Ho trovato degli ottimi giocatori e delle belle persone, quindi sicuramente sono state parentesi felici – l’unica negativa è stata forse la Correggese, dove non ho trovato un buon ambiente -”. 

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